Virus e Leviatano

Il dispotismo statalista, condiviso e terapeutico in tempo di pandemia che minaccia la democrazia liberale.

Pagine 108

ISBN 9788898094820

Prima edizione 2020

Il prezzo originale era: 11,00 €.Il prezzo attuale è: 10,45 €.

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Durante la pandemia abbiamo vissuto una forma di dispotismo condiviso e terapeutico.
Le funzioni di governo sono state esercitate attraverso decretazioni del Presidente del consiglio che il Paese tutto, insieme alla Chiesa, ha accettato passivamente. Gli editti statali hanno assunto valore quasi religioso. La Salute è stata assolutizzata. L’informazione ha spesso alimentato la paura invece di razionalizzarla e la libertà ne ha sofferto. Chi può assicurarci che ciò non si ripeterà e che lo stato d’emergenza, sostituito allo Stato di diritto, non possa essere istituzionalizzato?

La voce dei numeri e il silenzio degli uomini,  di Riccardo Manzotti, «Doppiozero», 13 gennaio 2021.

 

La pandemia del 2020 ha avuto una conseguenza positiva: ha provocato una sorta di risveglio civile e individuale durante il quale problemi di natura etico-morale-politica, che si credevano ormai prerogativa della ricerca accademica, sono tornati protagonisti della discussione pubblica e privata. Giornalisti, scrittori, filosofi, scienziati e frequentatori di social e agorà virtuali hanno scoperto che è inevitabile dibattere sul senso della vita e sui valori in base ai quali si prendono le decisioni sia a livello personale che collettivo. Le grandi domande esistenziali: che cosa ha valore? Qual è lo scopo della politica? Chi decide e perché? Sono nuovamente attuali e non hanno più una risposta obbligata.

Queste domande sono diventate urgenti perché, in conseguenza della pandemia, la società si è trovata a dover scegliere tra valori incommensurabili: salute o libertà, sicurezza o socialità, uguaglianza o economia. E queste alternative sono scelte esistenziali che non possono essere ridotte a calcoli amministrativi. Prima della pandemia, una costellazione di valori condivisi, storicamente assestata e implicitamente accettata dalla comunità dei cittadini, ha consentito di evitare questi dilemmi spinosi per molti anni. Le grandi battaglie su divorzio, aborto, omosessualità erano state combattute e il loro esito più o meno accettato da tutti. La cosa pubblica era diventata, sostanzialmente, un fatto amministrativo e alla politica si chiedeva di fornire amministratori capaci.

In un contesto di relativa tranquillità i cittadini erano caduti in una specie di torpore etico-morale in cui un generico buonismo (chi non vuole essere buono?) consentiva a tutti, senza far nulla, di sentirsi dalla parte migliore della comunità. Il virus, si è visto, ha cambiato tutto questo, ponendo molte persone di fronte a aut aut difficili cui non erano più abituate. Molti si sono resi conto che la vita è scelta e che la scelta non è abbracciare una opzione privilegiata. Questa scomodità etico-epistemica ha costretto molti al confronto di idee come non si vedeva da tempo.

In particolare, l’occhio del ciclone della discussione è stato quello del rapporto tra esperti e cittadini nell’essere protagonisti delle decisioni chiave durante la pandemia: il cittadino è libero di prendere delle decisioni in un momento di emergenza (il famoso stato di eccezione di Agamben) o deve essere messo sotto tutela dal potere politico a sua volta “guidato” dal sapere incarnato dalla comunità scientifica? A questa domanda si è risposto prima con la paura, accettando di fatto una subordinazione dei cittadini al potere politico a sua volta sottomesso al parere di comitati scientifici che, di fatto, lo deresponsabilizzavano.

Un esempio, molto semplice, sarà utile a comprendere la differenza tra valori e sapere scientifico. Il tema è decidere quando sacrificare un valore (per esempio, la libertà di movimento) per difendere un altro valore (la salute). Quando sacrificare il primo con un lockdown indiscriminato per salvare il secondo? In quest’anno passato, troppo spesso la discussione è stata presentata in termini assoluti come se, di fronte alla difesa della vita, non ci fossero margini per decidere. E invece, proprio in questi casi, c’è sempre una decisione libera, implicita o esplicita. Per rendersene conto, consideriamo tre casi ipotetici. Nel primo caso il virus ha un indice di mortalità pari a x. Se fosse pari al 30%, come nella peste nera del Boccaccio, quasi nessuno vorrebbe rischiare. Nel secondo caso, la mortalità è pari a 0,00001%, come nel caso di alcuni virus minori normalmente endemici. Stavolta nessuno pensa di chiudere le persone in casa. Infine, nel terzo caso, quello reale, l’indice di mortalità è compreso tra questi due estremi. Per quale percentuale di mortalità scatta la decisione di sacrificare altri valori (movimento, libertà, economia)? Non c’è una soglia implicita nei numeri. Ci possono essere soglie che scattano automaticamente una volta decise, ma le soglie sono il frutto di una decisione: i numeri non parlano da soli.

Questi e altri casi hanno messo molte persone a faccia a faccia con l’irriducibile fondo esistenziale della politica e delle regole accettate dalla collettività. Tre libri in particolare hanno intercettato questa richiesta di senso.

[…]

Di questa mancanza di valori parla diffusamente il secondo testo, Virus e Leviatano, di Aldo Maria Valli, un agile saggio che descrive i mesi della pandemia dal punto di vista della progressiva erosione dei meccanismi democratici e della perdita di autonomia da parte dei cittadini (Liberilibri, 2020). Secondo l’autore, di fronte alla minaccia del virus, i meccanismi della politica sono stati messi in discussione e sono stati, di fatto, scavalcati in nome dell’emergenza. Quello che è più grave, secondo Valli, è che i cittadini non hanno protestato e, anzi, hanno accettato il principio secondo cui l’esercizio dei diritti fondamentali della persona sarebbe una concessione per tempi felici. Si tratta di una conclusione preoccupante per due motivi. Il primo (su cui torno) è che la democrazia dovrebbe essere un fine a se stesso e non soltanto un sistema di governo strumentale al benessere. Dovrebbe essere, cioè, un valore civile e non un mezzo. Il secondo è che la bontà di un sistema di governo si dovrebbe vedere anche nei tempi di crisi. Se passa l’idea secondo cui altre forme di governo più centralizzate in cui quote di responsabilità sono sottratte ai cittadini, allora non si vede perché non preferirle anche in momenti storici più tranquilli.

Insomma, Valli mostra come il rischio pandemico abbia con facilità indebolito il tessuto democratico del nostro paese (e, aggiungo io, di altre nazioni europee) perché, anche prima della pandemia i valori civili avevano cessato di essere al centro della vita politica e personale delle persone. Parafrasando il filosofo Günther Anders, ci siamo venduti come servi in cambio di protezione perché, in fondo, eravamo già auto-asserviti. Era un prezzo piccolo o nullo da pagare. Secondo l’autore, la «democrazia rischia di finire in democratura» determinando una serie di fenomeni sociali pericolosi come la condivisione del dispotismo, l’intolleranza verso le opinioni individuali, l’uso dei media come propaganda, la deresponsabilizzazione della politica, la sottomissione ai comitati scientifici, l’imposizione di regole superstiziose, nuove forme di moralismo. Tutto questo è avvenuto anche perché i bacini tradizionali di valori etico-morali – la politica, le religioni, gli intellettuali – hanno in gran parte taciuto di fronte allo stato di eccezione realizzando previsioni da tempo avanzate da autori come Agamben, Benasayag, Eco, Chomsky, Levi-Strauss, Anders, Schmitt, Marcuse, Canetti e persino Hobbes. Conclude Valli,  «abbiamo ceduto la democrazia e la libertà in cambio di un simulacro di sicurezza […] La scienza (in questa sua versione ridotta e distorta, molto simile alla superstizione) diviene così il grimaldello che fa saltare le garanzie costituzionali […] Scienza, Salute e Sicurezza diventano le tre persone che formano una trinità incontestabile».

Uno dei cardini di questo processo, sarebbe il rapporto tra competenza e libero arbitrio e quindi tra scienza e politica.

 

Come strappare Cristo al Leviatano, la preghiera di Camillo Langone, «Il Foglio», 14 novembre 2020, pag. 2.

 

Nel pamphlet anticovidista di Aldo Maria Valli come la rimozione della morte ha messo la Chiesa nelle mani della politica. Ma le messe clandestine ci fanno intravedere una speranza.

Servo di Dio Divo Barsotti, ti affido “Virus e Leviatano”, il pamphlet anticovidista di Aldo Maria Valli (Liberilibri). Te lo affido perché vi si parla parecchio di morte e di come la rimozione della morte abbia messo la Chiesa nelle mani della politica: “Poiché da tempo ha sostituito Dio con l’uomo, e la legge divina con la volontà umana, era fatale che la Chiesa si piegasse agli autocrati di turno”.

 

Valli, il virus e il Leviatano: la dittatura parte dal basso, intervista di Paolo Gulisano, «La nuova Bussola Quotidiana», 10 novembre 2020.

 

Uno dei commenti che più spesso si ha occasione di sentire quando si parla dell’epidemia è che in fondo non se ne capisce nulla, che ci sono pareri contradditori, e che quindi alla fine occorre dare retta alle informazioni ufficiali.

Non è così. Ci sono dei dati oggettivi di realtà relativi all’epidemia che vanno riconosciuti. Alcuni, di tipo epidemiologico, sono lì davanti ai nostri occhi, sono i numeri, i tassi, le percentuali, che ci dicono che il Coronavirus non è ebola o la Peste del ‘300, e altri – altrettanto sotto i nostri occhi, che siamo sempre più privi di libertà, e che c’è qualcuno che sta radicalmente rivoluzionando il nostro modo di vivere, la nostra società. Per aiutare a capire cosa realmente stia succedendo è arrivato in questi giorni nelle librerie il saggio di Aldo Maria Valli Virus e il Leviatano (editrice Liberilibri). Colui che è stato per anni il più autorevole vaticanista italiano, prima di essere pensionato sbrigativamente, ci dà una delle più lucide analisi dell’epidemia che siano finora state scritte. Ci facciamo raccontare da lui i principali contenuti del libro.

In diversi Paesi, e in particolare in Italia, in occasione dell’epidemia da coronavirus è avvenuta in breve tempo, e quasi senza opposizione, una vera e propria svolta autoritaria. Come te lo spieghi? Credo che, a livello nazionale, da parte del governo questo sia stato il modo più rapido e semplice per agire nonostante la propria debolezza e impreparazione. Incapace di una risposta articolata e timoroso del confronto, l’esecutivo ha saltato a piè pari il Parlamento e si è impossessato della funzione legislativa. Ma il tutto rientra in un quadro più ampio, in un esperimento planetario di ingegneria sociale ispirato da “santuari” globalisti che stanno ben al di sopra dei singoli governi e rispetto ai quali un governo come il nostro ha tutta l’aria di agire da utile idiota.

Tu scrivi che il dogmatismo, da tempo estromesso dall’ambito religioso, in particolare in una Chiesa cattolica che si vanta del suo essere liquida e non dogmatica, è riapparso sotto forma di intransigenza medico-scientifica.
Sì, se ci pensiamo abbiamo una vera e propria forma di fideismo. Abbiamo la Trinità (Scienza, Salute, Sicurezza), il peccato (non collaborare con le autorità ispirate dal Comitato tecnico-scientifico), il castigo (essere letteralmente scomunicati, messi fuori dalla comunità se non collaboriamo), le sacre scritture (i mass media allineati alla narrativa dominante), la richiesta di conversione (alla tecnoscienza), l’identificazione del credere (al Comitato tecnico-scientifico) con la salvezza (del corpo). Abbiamo perfino i bacchettoni (che giudicano tutti e, nel caso, scomunicano e indicano il peccatore). Parlo di fideismo perché la religione è un’altra cosa, è fede e ragione, fides et ratio. Qui invece siamo quasi alla superstizione.

Nel tuo libro Virus e Leviatano descrivi magistralmente l’istaurazione di un particolare dispotismo, che hai definito “condiviso”.
Lo definisco così perché in effetti l’opinione pubblica e la società civile non si sono opposte, ma hanno aderito prontamente a questa forma di dispotismo, sotto l’influsso determinante del terrore sparso a piene mani dalla grande stampa. È come se tutti, mondo politico e opinione pubblica, avessero riconosciuto che il sistema parlamentare è un lusso che ci possiamo permettere in una situazione di normalità, ma non quando si è di fronte a uno stress test. Ma questo è un precedente pericoloso. Se qualcuno riuscisse a trasformare nella normalità una situazione d’emergenza, che cosa avverrebbe? Chi ci assicura che l’esperimento di ingegneria sociale non potrà essere ripetuto in una forma ancora più eversiva?

Un’altra tua efficace definizione è quella dell’Homo Timorosus… È il tipo umano con cui noi uomini liberi siamo destinati a convivere in futuro? E a che prezzo, e con quali fatiche?
L’Homo Timorosus ha la pretesa di poter essere messo al riparo da tutto, di evitare ogni rischio. Così accetta di sacrificare la propria libertà pur di essere preservato. Si suicida per la paura di morire. L’immunità è il suo grande mito. Ma è ovviamente un’illusione. È il contrario del vir, l’uomo adulto, consapevole e coraggioso. È un eterno bambino sottoposto all’invadenza di uno Stato-mamma che gli intima: non fare questo, non fare quello, non correre, non toccare.

Un vaticanista esperto come te non poteva non dedicare nel libro una attenzione accurata a quello che sta avvenendo nella Chiesa.
Triste spettacolo. Siamo passati dalla santificazione alla sanificazione. Siamo diventati adoratori dell’Amuchina. Abbiamo trattato Nostro Signore come un untore. La liturgia è stata profanata. La Chiesa è diventata Chiesa di Stato, totalmente inginocchiata davanti ai diktat governativi. Mai una rivendicazione di libertà e di autonomia, ma acquiescenza totale. Una Chiesa vittima del terrore, che non ha saputo dirci nulla sulla morte, sulla sofferenza, sul peccato, ma è stata prontissima nell’approfittare dell’occasione per vietare di inginocchiarsi e di ricevere la Comunione sulla bocca.

L’attuale operazione di reset della società sta riportando in auge idee comuniste che si sperava fossero scomparse per sempre…
Se ne vedono molti sintomi. Abbiamo un valore supremo, la Salute, rispetto al quale tutto è sacrificabile, a partire dalla libertà. Abbiamo i guardiani della rivoluzione, indotti a diventare tali da un’informazione che ha assunto i connotati della propaganda. Abbiamo i delatori, che in nome del valore supremo sono pronti a denunciare i reprobi. Abbiamo l’attacco alla libertà religiosa e di culto. Abbiamo gli slogan (“Andrà tutto bene” e “Insieme ce la faremo” assomigliano a “Venceremos”, a “Hasta la victoria siempre”). Abbiamo la stampa soggiogata. Abbiamo il grande terrore. Per ora ci mancano i gulag, ma non è detto…

Lo scrittore distopico inglese Aldous Huxley scriveva che “la rivoluzione davvero rivoluzionaria deve essere realizzata non nel mondo esterno, ma nelle anime e nella carne degli esseri umani”. È quello che sta accadendo oggi, secondo te?
Certo, va interiorizzata. E a questo serve la narrativa imposta dalla stampa allineata, una narrativa rinforzata quotidianamente dai tg nell’ora dei massimi ascolti. Occorre che il cittadino, trasformato in suddito (per giunta potenzialmente malato) arrivi a implorare il governo-medico di dargli la cura (non a caso c’è il decreto Cura Italia). La rivoluzione perfetta è quella in cui la vittima si incatena da sola. Ne parlò Étienne de La Boétie nel suo Discorso sulla servitù volontaria: “Sono dunque i popoli stessi che si lasciano incatenare… È il popolo che si fa servo, che si taglia la gola da solo, che potendo scegliere tra servitù e libertà rifiuta la sua indipendenza e si sottomette al giogo…”. Ci siamo.

 

Virus e Leviatano: il dispotismo condiviso, di Pietro Di Muccio de Quattro, «l’Opinione», 31 ottobre 2020.

 

Che cos’è il “dispotismo condiviso”? Una nuova categoria politologica individuata e studiata da Aldo Maria Valli in un prezioso libriccino appena pubblicato da Liberilibri sotto il titolo “Virus e Leviatano”. Orbene, dispotismo condiviso potrebbe sembrare un ossimoro, invece non lo è. Non solo per i motivi felicemente intuiti secoli fa da Etienne de La Boétie nel classico “Discorso sulla servitù volontaria”. Ma perché nel tempo del Coronavirus il gigantesco e voracissimo “Leviatano” di Thomas Hobbes è prepotentemente riemerso dalle acque bibliche in sembianze di Stato autoritario, in grado di sottrarre gli italiani alle paure e ai pericoli della vita pandemica. Lasciamo la spiegazione del perché non trattasi di ossimoro ad una strepitosa citazione dal libro: “Le funzioni di governo sono state concentrate nelle mani di un gruppo ristretto di persone e l’autorità è stata esercitata in modo tale da azzerare le garanzie costituzionali e i diritti di libertà. Ma è stato un dispotismo condiviso perché i cittadini, anziché protestare con forza contro la soppressione della libertà, o quanto meno porre qualche domanda e manifestare qualche dubbio, sono apparsi del tutto allineati e, anzi, desiderosi di essere governati proprio in questo modo, lasciandosi trasformare in poco tempo da cittadini in sudditi”.

Persino la gerarchia cattolica, dal Papa in giù, ha accantonato la Libertas Ecclesiae schierando i vescovi con lo Stato anziché con i preti ed i fedeli, mentre agenti della pubblica sicurezza giungevano persino ad interrompere la messa. C’è in ballo la vita delle persone, obiettano. Ma Valli pone la domanda cruciale. A quali condizioni la democrazia può legittimamente sospendere le libertà fondamentali? Merita, oppure no, rifletterci? E spiega perché bisogna farlo, e come. Ma non stiamo sperimentando solo un dispotismo condiviso e statalista, sibbene pure terapeutico, scrive Aldo Maria Valli: “L’autocrate di turno si proclama servitore del popolo (il nostro anche “avvocato del popolo”) e prende le decisioni sotto forma di servizio, per il bene della salute pubblica, si pensi al provvedimento chiamato Cura Italia”.

Accade perché, a somiglianza dell’ipnopedia di Aldous Huxley richiamata da Valli, “la somministrazione ripetuta e costante di messaggi a un soggetto addormentato glieli fa interiorizzare in maniera inconscia per modo che al momento opportuno dimostri di essere perfettamente allineato alla volontà del potere”. L’ipnopedia non è stata impartita soltanto di notte agli addormentati, ma anche di giorno ai frastornati, con l’aggiunta di dosi imponenti di droga mediatica, inoculando nelle loro menti così stordite il terrore della malattia, non meno del terrore per l’incapacità di fronteggiarne i casi letali. Più è dominata dalla paura di perdere la salute e più l’opinione pubblica è disposta “a tramutarsi in un’immensa corsia d’ospedale, con l’autocrate nel ruolo di medico-sacerdote che officia il rito necessario al raggiungimento della guarigione”. Insomma, nell’attesa del vaccino contro il virus biologico, il manualetto di Aldo Maria Valli costituisce un antidoto risolutivo contro i virus politici altrettanto mortali che oggi vivono in simbiosi con il Covid-19.

 

Il dispotismo terapeutico del governo giallorosso, di Giancristiano Desiderio, «www.nicolaporro.it», 25 ottobre 2020.

 

Durante l’epidemia dell’inverno e della primavera, che sembra esser passata invano, abbiamo vissuto una forma di dispotismo condiviso e terapeutico. Le funzioni di governo sono state esercitate attraverso decretazioni del presidente del Consiglio – come avviene ancora tuttora – che tutto il Paese, insieme con la Chiesa, ha accettato passivamente. Gli editti statali hanno assunto un valore quasi religioso, sacrale, dogmatico. Il valore della Salute è stato reso assoluto.

Allarmismo informativo

L’informazione – la stampa, la televisione, il gran mare dei social – ha spesso e volentieri alimentato la paura invece di razionalizzarla e addomesticarla, addolcirla. La libertà non solo ne ha sofferto ma è stata persino negata e individuata come un ostacolo di cui sbarazzarsi per garantire ciò che nessuno, nemmeno Dio, può garantire con assoluta certezza: la sicurezza di una vita invulnerabile. E, allora, ecco la domanda che ci dovrebbe togliere il sonno e che invece neanche viene formulata: chi può assicurarci che ciò non si ripeterà e che lo stato d’emergenza, sostituito allo Stato di diritto, non possa essere istituzionalizzato?

L’interrogativo è posto con grande lucidità nell’ultimo libro di Aldo Maria Valli ora edito dalla Liberilibri di Aldo Canovari: Virus e Leviatano. Ve ne consiglio vivamente la lettura. Perché le cose che sono accadute in Italia in questi mesi – e, sottolineo, in Italia perché altrove pur accadendo cose straordinarie non sono mai arrivati fino al punto di una “svolta autoritaria” – le dobbiamo ricordare bene per, se ne siamo capaci, trarne la giusta lezione. In pochissimo tempo, pochi giorni, forse due minuti, l’Italia nel tentativo maldestro di contrastare una situazione medico-sanitaria, è stata trasformata da democrazia rappresentativa in regime dispotico.

Dice giustamente Valli: “Se una svolta autoritaria è avvenuta in così breve tempo e senza opposizione di sorta, cosa impedisce che possa avvenire di nuovo, magari riutilizzando un altro allarme riguardante la salute pubblica?”. E, infatti, la seconda volta – la “seconda ondata” – è già arrivata e noi siamo ancora una volta alle prese con uno scambio immondo tra sicurezza e libertà che, in realtà, è un sofisma, un inganno e persino un autoinganno perché senza libertà non c’è nessuna sicurezza, nessuna salute, nessuna vita.

Dispotismo statalista

Tuttavia, se questa situazione di involuzione dalla democrazia alla democratura si è facilmente imposta e si ripropone è perché proprio la nostra cultura democratica era già malata o ferita a morte. Il dispotismo che è nato in Italia in due minuti tra febbraio e marzo è un particolare tipo di dispotismo in cui le vittime invocano il carnefice. Aldo Maria Valli lo definisce così: dispotismo statalista condiviso e terapeutico. Detto in due parole: il dispotismo oscurantista è voluto dagli stessi Italiani, sempre cantori dell’antifascismo ma ignari dell’anti-totalitarismo, che sono favorevoli a mettere da parte le garanzie costituzionali per affidare il proprio destino a uno Stato trasformato in una sorta di divinità capace, secondo le volontarie vittime sacrificali, di salvarli dal virus.

Un perfetto sistema di auto-inganno che diventa un alibi collettivo. Giustamente Valli pone in esergo al testo una frase attribuita al cardinale Carlo Carafa: Vulgus vult decipi, ergo decipiatur ossia il popolo vuole essere ingannato, e allora sia ingannato. È questa la condizione culturale in cui versa l’Italia? È doloroso ammetterlo, ma rendersene conto è già fonte di salute.

Follie illiberali

Ma che cosa può spingere un popolo a suicidarsi per la paura di morire? La cattiva informazione. In Italia ne abbiamo avuta e ne abbiamo tanta. I giornalisti, molti, tanti, per fortuna non tutti, invece di essere i cani da guardia della libertà e della costituzione – che è sempre la costituzione un tempo definita “la più bella del mondo” – si sono trasformati in cani da guardia della volontà del potere illimitato e illusoriamente salvifico. La conseguenza è che un problema di ordine sanitario e, dunque, da affrontare con strumenti e risorse mediche e critico-scientifiche, è stato trasformato in una questione politico-istituzionale in cui ciò che realmente vale e conta, libertà e lavoro, è stato rovesciato in disvalore e presentato come un impedimento di cui sbarazzarsi per rimettersi all’unica volontà valida e salvifica: il Leviatano terapeutico. Una follia.

 

«Non siamo più cittadini, ma degli ammalati», intervista di Maurizio Caverzan, «La Verità», 24 ottobre 2020, pag. 1 e 9.
Buongiorno Aldo Maria Valli, lei porta la mascherina? Glielo chiedo per fugare eventuali dubbi su una sua sottovalutazione del pericolo determinato dal Covid-19.

«Sì, la indosso, secondo le norme stabilite. Non credo nella sua efficacia – un epidemiologo mi ha spiegato che è come pretendere di bloccare i moscerini con una staccionata – ma non ho nessuna intenzione di farmi multare. Già lo Stato mi tartassa con il fisco. La vera resistenza la faccio scrivendo».

L’ultima cosa che Valli ha scritto è Virus e Leviatano, un agile e lucidissimo saggio per l’editrice Liberilibri, nel quale offre una visione molto controcorrente del tempo della pandemia e soprattutto della sua gestione da parte della politica, dei media e anche della Chiesa. In questa intervista, l’ex vaticanista del Tg1 nonché autore del seguitissimo blog Duc in altum, si esprime anche sulle parole di papa Francesco a proposito delle coppie gay e il loro diritto di «essere in una famiglia».

Il primo capitolo del suo libro s’intitola «Un dispotismo statalista, condiviso e terapeutico». Come può un dispotismo essere condiviso?

«Non è la prima volta che una collettività si fa irretire. Étienne de La Boétie, nel suo Discorso sulla servitù volontaria, dice che sono i popoli stessi che si lasciano incatenare. “È il popolo che si fa servo, che si taglia la gola da solo”. Perché? Per paura, ignoranza, passività, vigliaccheria. Per scarso amore della libertà».

Per dispotismo terapeutico intende che il rapporto tra politico e cittadino somiglia a quello tra medico e paziente?

«Non siamo più cittadini, ma malati. Il politico ha assunto il ruolo del medico. La nazione è diventata un ospedale. Il rapporto medico-paziente è ben diverso da quello politico-cittadino: è asimmetrico. Ciò che il medico stabilisce, per il tuo bene, non lo metti in discussione. Ti assoggetti e lo ringrazi pure».

I cittadini diventano docili e pronti a rinunciare a quote di libertà sull’altare della salute?

«Nel mio saggio scrivo Salute con la maiuscola, perché questo è diventato il valore assoluto, a cui sacrificare tutto, compresi i diritti di libertà. Pretesa assurda e pericolosa. La salute è sì un bene primario, ma se viene trasformato in assoluto può essere usato, come di fatto sta avvenendo, in modo strumentale».

Come spiega il fatto che i famosi Dpcm contengano esortazioni a comportamenti virtuosi, a rispettare regole di convivenza, a restare in casa?

«Proprio con il dispotismo terapeutico, con questo paternalismo che tratta i cittadini come sudditi sciocchi, come bambini incapaci di gestirsi, per cui si arriva al punto di mettere il naso nelle abitazioni private, di voler regolare minuziosamente ogni comportamento. Precedenti pericolosissimi».

Che ruolo ha l’informazione nella creazione di questo scenario?

«Decisivo. Il dispotismo terapeutico per essere condiviso ha bisogno dei mass media, di una narrativa appropriata. Ha bisogno del terrore, e il terrore va diffuso mediante l’informazione».

Cosa indica che proprio ora sia nata la prima task force contro le fake news?

«Un provvedimento del tutto illiberale. Non può essere il governo a stabilire che cosa è vero e che cosa è menzogna, a priori. Di nuovo i cittadini sono trattati come bambini incapaci di giudicare. In una democrazia liberale il cittadino si forma le opinioni attraverso il libero confronto».

Sbagliano coloro che, rilevando i successi contro il Covid di Cina e Vietnam, hanno sottolineato i vantaggi delle dittature nei momenti di crisi?

«Mi sembra difficile parlare di successo nel caso della Cina, visto che il virus è stato un suo gentile omaggio. Nel caso del Vietnam c’è da dire che il paese, visti gli stretti legami con la Cina, ha giocato d’anticipo rispetto al resto del mondo, con provvedimenti ad hoc e stretti controlli sui cinesi, specie se in arrivo da Wuhan. Ma se diciamo che le dittature sono meglio delle democrazie nei momenti di crisi facciamo proprio il gioco di chi ci vuole incatenare».

Anche l’Oms avvalora la tesi che la Cina è il paese che ha risposto meglio all’epidemia.

«E lo credo! Il direttore generale dell’Oms, Tedros Adhanom Ghebreyesus, è amicissimo del regime cinese. È etiope, e la Cina sta facendo investimenti notevolissimi in Etiopia. Tra i grandi elettori di Ghebreyesus all’Oms la Cina ha svolto un ruolo decisivo».

Per la Chiesa cattolica la pandemia è stata un’occasione mancata?

«Purtroppo, sì. Non ha parlato di santificazione, ma solo di sanificazione. Si è lasciata contagiare dal terrore. Non ha detto nulla circa i grandi temi della morte e del peccato. Si è piegata ai diktat governativi. Non ha rivendicato la propria autonomia. Si è mostrata più realista del re. È diventata Chiesa di Stato. Va bene il senso di responsabilità, ma non ti puoi annullare. La liturgia ha assunto connotati grotteschi. Siamo diventati adoratori dell’amuchina. Abbiamo trattato Gesù come un untore».

Come spiega il fatto che, salvo rare eccezioni, abbia accettato in modo acquiescente il lockdown religioso imposto dalle autorità civili?

«Connivenza, paura, accettazione passiva, arrendevolezza. C’è di tutto. Ma sopra a tutto c’è una spaventosa mancanza di fede».

Condivide il giudizio di monsignor Massimo Camisasca, vescovo di Reggio Emilia-Guastalla, che ha ravvisato il pericolo del diffondersi di «una visione paranoica della realtà»?

«Certamente. Siamo già paranoici. Parliamo dei positivi come se fossero malati. Siamo tutti terrorizzati. Non solo di beccarci il virus, ma anche di non saper rispettare le norme. Non esaminiamo i fatti, ma ci lasciamo prendere da mille suggestioni. La crisi della ragione procede parallelamente a quella della fede».

In questi giorni il mondo cattolico è agitato dalle parole di papa Francesco sul diritto delle coppie gay a «essere in una famiglia». Che idea si è fatto di queste dichiarazioni?

«Francesco è circondato da una potente lobby gay che ha lavorato per arrivare a questo risultato. Ma si tratta di dichiarazioni private di Bergoglio: il cattolico non è tenuto per nulla a farle proprie».

Ora sta emergendo la manipolazione cui sono state sottoposte le parole del Papa, fatto che si ripete. Ma sembra che Francesco accetti il rischio.

«Non solo lo accetta, ma lo favorisce. È un’operazione decisa a tavolino. Bergoglio provoca la parte sana della Chiesa così che qualcuno, vescovo o cardinale, lo accusi di apostasia. A quel punto lui avrebbe gioco facile, con l’appoggio della grande stampa amica, nel puntare il dito contro i “nemici della Chiesa” e gridare al complotto contro il povero Papa buono e tanto amato dal popolo».

Questi travisamenti ricorrenti riguardano una tecnica di comunicazione o la concezione stessa del ruolo della Chiesa nel mondo?

«Entrambe le cose. L’obiettivo è una religione mondialista sostenuta da una nuova Chiesa schierata con il mondo. La narrativa appropriata serve come strumento».

Meglio una Chiesa che si contamina e traffica il talento o una Chiesa austera ed estranea ai dibattiti della contemporaneità?

«La Chiesa è nella storia e si è sempre mescolata al mondo. Ma ben sapendo che pur essendo in questo mondo non è di questo mondo. Gli slogan sulla “Chiesa in uscita” sono banalizzazioni. La Chiesa è di per sé in uscita perché fa evangelizzazione. Il problema vero è rimettere al centro Gesù e la legge divina».

Tornando all’emergenza Covid, è possibile dissentire dal conformismo prevalente senza essere scomunicati con l’accusa di negazionismo?

«Sì, occorre resistere alla narrativa dominante. Dire chiaramente che essere tacciati di negazionismo è un’infamia. Nessuno nega l’esistenza del virus. Si vuole solo stare alla realtà e combattere l’uso strumentale della pandemia».

Certe manifestazioni di dissenso, condite di complottismo folcloristico quando non becero, avvalorano queste accuse?

«Temo di sì. Io non amo le manifestazioni di piazza: preferisco il ragionamento pacato. Comunque, se si organizza una manifestazione occorre farlo bene, evitando esiti controproducenti».

Si pensava che lo stato di emergenza servisse a snellire le burocrazie per migliorare i servizi al cittadino in condizioni di urgenza, ma non è avvenuto: a cosa serve realmente?

«Lo stato di emergenza serve a incatenare i cittadini, a farli sentire sudditi incapaci di gestirsi, bambini irresponsabili bisognosi di una guida paternalistica. È il frutto di un governo debole il quale, proprio perché avverte la propria debolezza, punta sull’autoritarismo».

Teme che questo stato di eccezione possa diventare norma?

«Questo timore è ciò che mi ha spinto a scrivere Virus e Leviatano. Stiamo dando vita a un precedente pericoloso. L’unione perversa di biopolitica e bioinformazione ha inferto un duro colpo al sistema democratico liberale di stampo parlamentare. Un vulnus che potrebbe diventare permanente».

Pensa che la sottomissione dei cittadini al nuovo dispotismo statalista sia un disegno perseguito o l’esito inevitabile del virus dell’ideologia mai davvero estirpato nell’establishment politico e culturale?

«Dopo tanti anni di giornalismo posso dire tranquillamente di essere complottista. Perché il potere complotta sempre. E tanto più grandi sono gli interessi tanto più ampio è il complotto. Che avviene lontano dai riflettori, in quelli che potremmo definire i “santuari” dei padroni del caos. Ma l’aiuto degli utili idioti è sempre di fondamentale importanza».

Come valuta il fatto che stiamo progressivamente tornando in una situazione di confinamento?

«Alla fin fine è un fatto culturale. Non si viene più educati alla libertà, all’amore per la libertà. Siamo narcotizzati. Abbiamo l’illusione di essere al corrente di tutto e non sappiamo niente. Non studiamo e ci lasciamo condizionare. Dobbiamo imparare di nuovo a pensare. Ma com’è possibile se passiamo tutto il tempo sui social o davanti a programmi televisivi beceri? Huizinga in La crisi della civiltà scrisse che se si vuole ripartire occorre essere consapevoli, per prima cosa, di quanto sia già progredita la dissoluzione».