Miseria dell’uomo

L’uomo è nulla, ma anche Dio è nulla: piccolo capolavoro di nichilismo di un pungente moralista francese del Seicento, recuperato dalle paludi dell’anonimato.

A cura di Marco Lanterna

Pagine XXX-52

ISBN 9788898094639

Prima edizione 2020

Il prezzo originale era: 12,00 €.Il prezzo attuale è: 11,40 €.

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Saggio di apertura dei celebri Essais de morale, De la foiblesse humaine è un piccolo capolavoro di nichilismo, tanto notevole quanto ancora ignoto ai più. Nella storia della filosofia questo trattatello non rappresenta solo una non rilevata stazione del pirronismo francese – da Montaigne a Bayle – ma ideal­mente salda i greci più paradossali ai più paradossali moderni. In alcuni punti sembra di leggere Cioran o Caraco, oppure il nostro Rensi, in parte per il semplice motivo che costoro, forti lettori del Grand Siècle, presero quasi testualmente da Nicole. Occorre quindi operare un atto di giustizia critica, mostrando che molta farina di quei sacchi era tirata da lui, macinata nel suo vecchio mulino. Inoltre Nicole riesce perfetto nel trattare oggi le ipertensioni acute da superomismo e transumanesimo alla Elon Musk. La cura di Marco Lanterna, se possibile, ne radicalizza gli intenti, rivaleggiando in stile con il Moralista e distillando infine un velenosissimo esiziale parergo.

Ammettere i nostri limiti ci libera dalla disperazione, di Andrea Camprincoli, «Libero», 22 maggio 2020, pag. 19.

 

La nullità dell’uomo di fronte alla potenza della natura non finirà mai di creare sgomento. Come si è verificato di fronte alla pandemia che sta provocando una vera e propria ecatombe mondiale. Senza evidenze scientifiche che sia stato realizzato in laboratorio, si assume per vero che sia un virus naturale. Pertanto l’uomo è tornato a sentirsi impotente, vulnerabile, quasi una nullità. Eppure lo è sempre stato. Per quanti sforzi potesse fare, la sua miseria è sempre stata lì davanti ai suoi occhi.

«Cosa c’è di più fragile e debole della vita d’un uomo?» scriveva il filosofo francese Pierre Nicole (1625-1695), al quale premeva «disingannare l’uomo dall’illusione con cui si rappresenta grande, mostrandogli la sua piccolezza e le sue infermità. Non per ridurlo all’abbattimento e alla disperazione ma per condurlo a cercare in Dio il sostegno».

Su questo tema è appena uscito in libreria un «piccolo capolavoro sul nichilismo tanto notevole quanto ignoto ai più», si legge nella quarta di copertina del libro Miseria dell’uomo (Liberilibri, pp. 49, euro 12), di Pierre Nicole, che è il saggio di apertura della sua opera monumentale in 25 tomi Essais de morale.

Già Nicole, così poco conosciuto, che fu un bambino prodigio, che studiò teologia alla Sorbona, che fu maestro al monastero di Port-Royal, esponente del giansenismo, insieme al devoto amico Antoine Arnauld col quale scrisse la famosa Logica. Il suo pensiero condizionò per sempre uomini illustri come Voltaire, John Locke, Alessandro Manzoni.

Il nostro Manzoni confessò di essere un gran saccheggiatore delle opere di Pierre Nicole. In particolare gli Essais compaiono in bella vista nella sua biblioteca della casa milanese di via Morone accanto agli oratori sacri. Se ne servì per la stesura delle Osservazioni sulla morale cattolica in cui definisce il filosofo: «Un osservatore profondo e sottile del cuore umano, il gran Nicole».

Mentre Madame de Sévigné avrebbe voluto mettere le sue opere in infusione per poterle tracannare. Nicole rimase sempre meno famoso dei suoi contemporanei come Blaise Pascal, eppure anche a quest’ultimo offrì più di una suggestione nelle opere Le provinciali.

«Naufraghiamo nel gran pelago del mondo in balia delle nostre passioni che ci trasportano di qua e di là, come un naviglio senza vela né pilota», scrive Pierre Nicole. E si rivela perfino moderno quando ammette che «abbiamo solo l’obbligo di riconoscere che siamo capaci di follia». Una confessione che troverebbe d’accordo molti psichiatri poiché, come loro, indaga la materia umana trovando spesso contraddizioni affascinanti. Come questa: «La luce dell’intelligenza che vede più cause, è capace di ingannarci quanto la stupidità che nulla vede». Quanto è misero dunque l’uomo, tanto quanto gli sforzi che compie per dissimularlo. E si chiede Nicole, come fa San Crisostomo, «cosa distingue gli angeli da noi, se non l’esser liberi da bisogni». Per tanto chi ne ha di meno si avvicina più a loro, e chi ne ha di più se ne allontana. Ed ecco l’anelito di cui è pervaso tutto il libro «È in Dio solo e nella sua grazia che si deve cercare la vera potenza». Perché «Se è vero che nulla mostra meglio della miseria umana la potenza della grazia divina, si può dire altresì che nulla scopre meglio tale miseria della grazia stessa». Ecco perché in Pierre Nicole si trova la via per la salvezza dell’uomo, a patto che egli riconosca la propria miseria. Solo così si potrà rinascere.

Per questo è di grande attualità oggi leggere tale opera che può perfino offrire un conforto. Una sorta di antidoto alla disperazione. La miseria dell’uomo va affrontata, ci suggerisce Nicole. Così come insegna la psicologia per i traumi subiti, meglio conoscerli per poterli superare.

Lo scriveva anche Martin Heidegger: «Il nichilismo. Non serve a niente metterlo alla porta, perché ovunque, già da tempo e in modo invisibile, esso si aggira per la casa. Ciò che occorre è accorgersi di quest’ospite e guardarlo bene in faccia».

 

Miseria dell’uomo, di Claudia Gualdana, «Il Foglio», 20 maggio 2020, pag. II.

 

Dice bene il curatore, quando dichiara che alcuni guastafeste del Novecento – su tutti Cioran – hanno pescato a piene mani da Pierre Nicole. Forse lo si condivide meno nel giudizio severo sullo stile del quasi dimenticato filosofo – “notarile” – perché già alcuni titoli, sebbene lunghi e pedanti, strappano un sorriso. Si veda quello del decimo capitolo: “Il mondo è composto per lo più da persone stupide che non pensano nulla. Quei pochi che pensano non sono poi meglio”. C’è qui tutta l’ilarità che un sano scetticismo può procurare, nella sua crudele abilità nel mettere a nudo i nostri limiti. Ciò che piace di più, di questo libello che tale in realtà non è, trattandosi dell’introduzione agli Essais de morale di uno dei due massimi filosofi giansenisti, letti avidamente da Locke, è la capacità di attagliarsi a ogni epoca, forse perché la natura umana replica se stessa pervicacemente, a dispetto del vortice di progresso tecnologico che ha investito invece l’incolpevole realtà circostante. Prima di tutto, anche a volerlo paragonare a chi a lui si è ispirato, bisogna ammettere che laddove questi rivelano tutta la cupezza del secolo breve, nell’originale c’è pur sempre la gaiezza dello stile secentesco. Insomma il maestro di Port-Royal, che scrisse la celebre Logica con Arnauld, merita ancora di essere letto. Prima di tutto, non ci si deve aspettare una tirata moralista né un trattato di teodicea perché, chiarisce il curatore: “Il Dio dei giansenisti è posto da Nicole più per politesse che per mistica convinzione”. In effetti, se non fosse per alcune citazioni dei Salmi o per la dichiarazione finale sulla nullità umana, se non poggia sulla fede, la sua presenza sarebbe impercettibile. Nonostante l’evidente modernità, è passato di moda e non pare che le sue opere siano granché prese in considerazione. Invece è piacevole leggere queste pagine senza tempo. Perché l’introduzione alla morale di Nicole sembra consegnata per tarpare le ali all’arroganza dell’umanità, che è ovunque e sempre la stessa. Qua e là si trovano spunti anche per individuare alcune figure di spicco tanto piene di sé quanto vuote di contenuti. Sta di fatto che c’è anche materia per riflettere su sé stessi. L’uomo dovrebbe comprendere e accettare la sua estrema fragilità. Anche un genio è condannato alla schiavitù della sua condizione, perché se non si nutre il suo cervello funziona male. Le miserie umane sono tante e ci ostiniamo a non vederle. Il più ridicolo è forse l’uomo di potere, il quale senza i suoi sottoposti è nulla. La tanto decantata ragione invece spesso è imprigionata, perché “sono le passioni a servirsi della ragione per pervenire al loro scopo”. Viene anche il momento della filosofia pura, quando Nicole indica la povertà della conoscenza. Siamo condannati a vedere solo la superficie delle cose, letteralmente. Gli oggetti troppo lontani ci sembrano piccoli. La nostra intelligenza è limitata: “Ogni cosa è troppo grande per lei”.

 

Quel gran indagatore di Pierre Nicole, di Armando Torno, «Domenica – Il Sole 24 Ore», 3 maggio 2020, pag. III.

 

La dottrina del teologo olandese Giansenio, esposta nella sua opera Augustinus (pubblicata postuma a Lovanio nel 1640), è condannata con un decreto dell’Inquisizione nel 1641. Biasimo ribadito dalla bolla In eminenti di Urbano VIII (1642), nonché da Innocenzo X, con un’altra bolla: Cum occasione (1653). Non tutto finisce qui, giacché il pollice verso di Alessandro VII si concretizza nel 1656 con una terza bolla: Ad Sanctam. Del resto, in questa data la corrente di pensiero giansenista, che si era sviluppata in Belgio e Olanda, trova nell’abbazia francese di Port-Royal il suo fulcro. Qui sono attivi personaggi di levatura quali Pascal, Arnauld e Nicole.

Già, Pierre Nicole. Oggi trascurato dalle storie della filosofia, nel 1646 cominciava a insegnare a Port-Royal e, dopo aver conosciuto l’esilio e patteggiato il suo rientro con le autorità ecclesiastiche, morirà a Parigi nel 1695.  Molto vicino a Pascal, quando l’amico pensa di scrivere Les provinciales – tra il 1656 e il 1657 quale reazione alla condanna della Sorbona di Arnauld – è lui a passargli non poco materiale. Inoltre tradurrà quest’opera in latino con lo pseudonimo di Guillame Wendrock (Colonia 1658). E ancora: con Arnauld è autore della Logique ou l’art de penser uscita anonima a Parigi nel 1662. Testo fortunato, resterà per un paio di secoli un riferimento per lo studio della logica. La sua opera più vasta sono gli Essais de morale il cui primo tomo vede la luce nel 1671, mentre il sesto e ultimo esce postumo nel 1714.

Nicole è autore ricco di sorprese e ormai soltanto anime rare frugano nelle decine di volumi delle sue opere, pubblicate oltre che con il suo vero nome con undici pseudonimi (stando all’inventario della Biblioteca Nazionale di Francia). Bambino prodigio, coltissimo, scriveva con facilità in latino oltre che in francese; conosceva l’ebraico, insegnò greco al giovane Racine. Il suo ritorno con un piccolo e denso libro dal titolo Miseria dell’uomo (è il saggio di apertura degli Essais de morale), si deve a Marco Lanterna che scrive una prefazione in cui, senza genuflessioni accademiche, rende giustizia al trascurato pensatore.

In verità Lanterna, discepolo di Anacleto Verrecchia, con una prosa godibilissima ricorda che Nicole in questo saggio sembra «Cioran o Caraco, oppure il nostro Rensi», autori che devono aver attinto a lui. E tra coloro che lo stimavano c’è anche Manzoni; anzi il magnifico lombardo nelle Osservazioni sulla morale cattolica lo chiama «il gran Nicole», indagatore «profondo e sottile del cuore umano». Anche Locke e Voltaire lasciano giudizi lusinghieri su di lui, né manca all’appello la mondana Madame de Sévigné.

Lanterna fa anche di più: pone in evidenza come questo trattatello di un uomo di Port-Royal, pur senza essere vincolato da cordoni ombelicali con il giansenismo, rappresenti una «non rilevata stazione del pirronismo francese», ovvero dello scetticismo. Corrente filosofica che ha il suo patriarca oltralpe in Montaigne; poi con Pierre Charron si diffonde criticando ogni dogmatismo e fanatismo filosofico e religioso, interessando gli ambienti libertini ma anche chi non nutriva più fiducia nella ragione, fosse filosofo o teologo. Quando Nicole parla della «nullità della vita terrena» (cap. IV), o del fatto «che si è egualmente felici d’ignorare come di conoscere la maggior parte delle scienze» (cap. VII) crede più nello scetticismo greco che non nella raccomandata umiltà dei chierici.

Su una delle travi della sua biblioteca, Montaigne fece scrivere che Dio diede all’uomo il desiderio di sapere per tormentarlo. E Nicole? Sarebbe stato d’accordo.

 

C’è logica nel pessimismo di Port-Royal, di Riccardo De Benedetti, «Avvenire», 25 aprile 2020, pag. 22.

 

Ma il Cristianesimo ha davvero la «necessità di umiliare l’uomo facendogli conoscere la sua miseria, senza ricondurlo alla condizione delle bestie»? Ottimi motivi li troviamo nello scritto di Pierre Nicole (Chartres, 1625 – Parigi 1695) Miseria dell’uomo posto ad apertura dei suoi immensi Essais de morale. Giansenista, con qualche resipiscenza sul finale della sua vita, trascorsa perlopiù ad insegnare nelle petites écoles di Port-Royal, alla cui Logica contribuì con Arnauld, è il rappresentante di una fede che sembra escludere quella nell’uomo. Sì, per quanto dura possa sembrare la tesi è difficile trarne una diversa dalle pagine, poche ma di devastante rigore, di questa che, a fronte dei venticinque tomi degli Essais, non è che una premessa, neppure sintetica. Quindici capitoletti, sempre anticipati da una breve sintesi del contenuto come quella riportata all’inizio. Lo stesso stile adottato da Alessandro Manzoni, nelle sue Osservazioni sulla morale cattolica, che trova nel Nicole una delle sue fonti. Marco Lanterna, sulfureo prefatore del libretto (pubblicato da Liberilibri, pagine 49, euro 12,00), ricorda che gli Essais del Nicole ancora fanno bella mostra nella casa del Manzoni in via Morone a Milano. Il Gran Lombardo lo definisce «un osservatore profondo e sottile del cuore umano, il gran Nicole». Per Sainte-Beuve è una mescola di ordinario e di elevato, conversatore piacevole e accomodante, non è poi un così grande scrittore, nonostante i giudizi positivi di Voltaire e di Locke che lo tradusse in inglese.

Sia come sia, la Miseria dell’uomo appartiene alla grande tradizione della letteratura cristiana, quella dei De contemptu mundi, che a partire da Lotario Diacono (Papa Innocenzo III, 1160-1216) passando per Erasmo, riesce a elencare il catalogo quanto mai attuale di ciò che nell’uomo denuncia la sua fragilità e l’inanità dei suoi sforzi nel sollevarsi dalla condizione di minorità fisica e morale nella quale è immerso. In effetti, vale la pena ricordare l’indice del trattato di Lotario: il miserabile introito dell’uomo nella vita; la viltà della materia della quale è formato; il fanciullino che è nel ventre materno e, appena fuori, la sua debolezza; gli incomodi della vecchiaia, le infermità, le viltà dei buoni e dei malvagi ecc. È lo stesso di Pierre Nicole.

La materialità medievale di questo lungo elenco di miserie trova forse una qualche attenuazione nelle sue pagine. Ciò che non è affatto attenuato, però, è l’impotenza della condizione umana considerata sia dal lato del corpo sia da quello della ragione, entrambi irrimediabilmente deficitari: «l’uomo è costretto a servirsi delle immani forze che trova in natura, che sono quelle dell’acqua, dell’aria e del fuoco. È così che supplisce alla sua miseria e fa assai più di quanto potrebbe far da solo. Ma, con tutto ciò, quello che gli riesce è ben poca cosa».

Disperazione senza rimedio? Vanità delle cose e del mondo e a maggior ragione della posizione dell’uomo nell’universo? Sì, anche se non manca l’osservazione che l’uomo, per soffocare il senso della sua impotenza radicale, osa fare «un’eternità della propria vita, giacché non si occupa mai di quello che ne è al di qua né al di là; fa un mondo della piccola cerchia d’esseri  che lo circondano, sui quali agisce o che su di lui agiscono», e da qui si fa un’immagine illusoria della propria grandezza.

Non nascondiamocelo, la descrizione che Pierre Nicole fa dell’uomo è mortificante. L’uomo si danna per nascondere la sua miseria, inventa di tutto, trasforma il mondo e addirittura riesce a peggiorarlo. Lo stesso affannarsi dell’uomo per alleggerire la sua prostrazione rischia, aumentando i suoi bisogni e la sue necessità, di renderlo schiavo di più cose, «servitore dei propri servitori» come scriveva già san Giovanni Crisostomo.

La speranza? «È in Dio solo e nella sua grazia che si deve cercare la vera potenza. Lui solo può schiarire le umane tenebre, esaudirne le volontà, sostenerne la vita temporale per il tempo che vuole, volgendone infine tutte le infermità dell’anima e del corpo in uno stato eterno di gloria e possanza».

 

Pierre Nicole, il volto umano (troppo umano) del nichilismo che piaceva persino a Manzoni, di Giancristiano Desiderio, «il Giornale», 17 aprile 2020, pag. 26.

 

Se siete lettori di Cioran o di Caraco o, perché no, del nostro Giuseppe Rensi, allora non potete non leggere anche Pierre Nicole (1625-95). Non perché Nicole dica ciò che dicono Cioran, Caraco, Rensi ma, al contrario, perché Cioran, Caraco, Rensi, da gran lettori quali furono del Grand Siècle, dicono ciò che disse Nicole e, insomma, scopiazzano, sia pur con ispirazione.

Ne volete subito una prova? Nel secondo capitolo del suo De la faiblesse de l’homme, Nicole sostiene la necessità d’umiliare l’uomo facendogli conoscere la sua miseria, ma non riducendolo alla condizione delle bestie. L’uomo è pieno di orgoglio, gonfio, arioso come una bolla e allora bisogna bucare quest’enfisema come si fora un pallone gonfiato: «Disingannare l’uomo dall’illusione con cui si rappresenta grande, mostrandogli la sua piccolezza e le sue infermità; non per ridurlo all’abbattimento e alla disperazione, ma per condurlo a cercare in Dio il sostegno, l’appoggio, la grandezza e la forza che non può mai trovare in sé, né in ciò che a sé accompagna». Già, tutto vero. Tuttavia, scusate, chi è Pierre Nicole?

È inutile cercare nei manuali di storia della filosofa perché non se ne ricaverà nulla. Al massimo il suo nome sarà menzionato con Arnauld per dire che i due lavorarono insieme a Port-Royal e pensarono la famosa Logica. Quindi, il silenzio. Eppure, perfino quel genio di Pascal sarebbe stato meno geniale se non fosse stato suggestionato da Pierre Nicole che alla filosofia riconosceva il compito di «dire duramente le cose dure». Dopotutto, qualcuno dovrà pur farlo, no? E Nicole lo fece – lo fa – in modo magistrale, tanto che Alessandro Manzoni, il severo Manzoni, ne fu un persuaso ammiratore e nelle Osservazioni sulla morale cattolica lo definisce «un osservatore profondo e sottile del cuore umano, il gran Nicole». Un nichilista, quale alla fin fine fu «il gran Nicole», accostato ad un credente cattolico? Certo, perché mai menarne scandalo? Non conosco niente di meglio del niente per avvicinarsi a quel nulla che è Dio giacché la conoscenza della miseria dell’uomo è la necessaria premessa per assaporarne la vera debole grandezza. Si può capire allora perché Voltaire, non certo generoso nel lodare, scrivesse così di Nicole: «I suoi Saggi di morale che sono utili al genere umano, non moriranno mai. Soprattutto il capitolo sui Modi di conservare la pace tra gli uomini è un capolavoro di cui non si trova eguale nel mondo antico».

 

Leggere Pierre Nicole e convincersi della “nullità della vita terrena dell’uomo”, di Camillo Langone, «Il Foglio», 14 marzo 2020, pag. 2.

 

“Ognuno contempli la durata infinita che lo precede e lo segue, e vedendoci la propria vita come rinchiusa, stimi quanto di tale infinito occupa. Faccia lo stesso con lo spazio. Stimi ciò che il suo corpo è nell’universo” e insomma si convinca “della nullità della vita terrena dell’uomo”. E’ sempre una gran consolazione la vera filosofia, e dunque le poche, preziose pagine che compongono “Miseria dell’uomo” di Pierre Nicole (Liberilibri). Era costui un filosofo francese del Seicento, cattolico giansenista vicino a Pascal e però più moderato, quasi scettico (in senso stretto, greco), la cui lucidità estrema prefigura Cioran. In questi giorni ansiogeni “Miseria dell’uomo” può avere un effetto calmante, insegnando a prenderla con filosofia: “La vita dell’uomo dipende da una macchina talmente delicata e composta da così tanti ingranaggi, che, anziché stupirci di come si distrugga, dovrebbe stupirci di come possa anche solo sussistere per qualche tempo”. Dopo averlo letto mi ha preso l’allegria (di naufragi?).